Peluffo: Un nuovo patto di cittadinanza per il partito democratico.

Subito dopo questa schizofrenica campagna elettorale, e al di là dei risultati, dovremo pur dirci che il progetto del Pd è incompiuto. E il Pd è chiamato, in ogni caso, a riflettere. Meglio fare questa discussione con un buon risultato, certo, ma i suoi elementi di fondo prescindono per molti versi dal dato definitivo delle Regionali.
Il punto è ridefinire la propria funzione, questo è il problema del Pd, così come dei socialisti europei, dei democratici americani, e dei riformisti e progressisti nel mondo di oggi. Tutti chiamati ad interrogarsi
su quali siano le idee forza di una nuova missione storica. Non è un caso che la più longeva ed innovativa tra le recenti esperienze di governo riformista, quella del Labour britannico, abbia con Gordon Brown
deciso di mettere al centro della sua proposta politica per le prossime elezioni il tema della governance globale. Di fronte alla crisi economica globale se la politica continua a restare chiusa nei confini
nazionali, i riformisti sono destinati alla sconfitta e a vincere sono la destra e i populisti. Serve un passo in più per comprendere che la moderna utopia per la sinistra del nuovo secolo è costruire una democrazia postnazionale, e in Europa l’obiettivo da realizzare è la Federazione di Stati nazionali.
Possiamo, intanto, dirci che il Trattato di Lisbona arranca? Possiamo dirci che l’approccio economicistico con cui si è affrontato questo tema è fallimentare e perdente? Per molti l’unità politica europea è una chimera lontana e per salvare l’Euro dalla crisi bisogna puntare al coordinamento delle politiche economiche, come unico approccio possibile realistico ed immediato, salvo poi lamentarsi che questo coordinamento non si riesca a farlo mai. La verità è che non ci sarà mai nessuna politica economica europea senza una guida politica a livello europeo, e soltanto la costruzione di una Democrazia Europea e di un Welfare europeo possono riavvicinare in Europa riformismo e popolo. Serve un campo progressista e riformista che metta in cima alle priorità la rivoluzione ecologica: una drastica riconversione
delle tecnologie, delle fonti energetiche e della produzione per portare l’aumento della temperatura non oltre i 2 gradi di qui al 2050.
La riconversione ecologica èla frontiera anche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione,
perchè la tecnologia oggi ci offre la strada per rompere la dicotomia sviluppo economico e
sostenibilità ambientale. La sostenibilità diventa volano di sviluppo quando modifica radicalmente
i nostri paradigmi e gli stili di vita. Intanto i cambiamenti della società globale hanno modificato
la rappresentanza sociale e l’idea di cittadinanza. Dobbiamo guardare più da vicino una
società di cittadini globali, nomadi, flessibili. A cui si affianca una parte della società, che invece
resta ai margini della società globale. Gli uni e gli altri sono figli della globalizzazione, aumentano
di numero e schiacciano un ceto medio sempre meno numeroso e sempre più impaurito.
Siamo in grado di rispondere a queste paure con un nuovo patto sociale e un nuovo welfare? Il
nostro paese è immerso in questa dinamica, sempre più vecchio, immobile,agitato. Un paese
che ha di fronte la sfida dell’integrazione delle popolazioni immigrate e la loro trasformazione
in nuovi cittadini; proviamo a dire come centrosinistra che l’integrazione è necessaria ma
terribilmente difficile, che esiste uno shock culturale di fronte a flussi migratori così intensi
e che spesso è la parte più debole della società italiana che si sente in pericolo. Possiamo dire
che sui doveri non si transige, che il governo dei flussi non è un problema secondario, che
l’esigenza di rassicurazione nella propria identità da parte di tanti italiani non è una colpa ma
un’esigenza a cui rispondere? Un nuovo patto di diritti e doveri per coniugare sicurezza ed integrazione
non è, quindi, solo un pacchetto di proposte, è una nuova empatia con gli abitanti di periferie
esasperate, con i nuovi poveri che si sentono minacciati nel loro “poco” dagli ultimi arrivati.
Muoviamoci da qui per spiegare che nei prossimi decenni se l’Italia non integrerà sempre più
consistenti quantità di immigrati è destinata al declino demografico ed economico, e a far saltare
tutti gli equilibri dello Stato sociale. Uno stato sociale da riformare, guardando al dramma
delle generazioni di lavoratori precari che rischieranno di restare senza alcuna copertura previdenziale,
oltre ad essere già del tutto privi di tutele in caso di perdita del lavoro. Da qui non si scappa e non basta pensare a più diritti; occorre rivedere l’intero impianto delle protezioni sociali, in prospettiva di un’equità di
sistema che oggi non c’è. In questi anni, la sinistra riformista italiana ha molto teorizzato su questo
per poi, di fatto, praticare una linea minimalista e di riforme palliative, di navigazione a vista.
Prevale tuttora un approccio difensivo. Mentre il Pd, se vuole uscire dai limiti di consenso
attuale, deve fare scelte anche di rottura, essere il promotore principale di un nuovo patto di
cittadinanza. Tutto questo ha una conseguenza, le riforme non sono a costo zero e di sicuro non
possiamo sempre nasconderci dietro la proposta di coprirle con il taglio degli sprechi (giusto, vero,
ma non sufficiente) dobbiamo iniziare a dire che un grande programma riformista si muove tra
due limiti netti: impossibilità di alzare le tasse (combattere l’evasione si deve, ma la pressione
fiscale del nostro Paese resta troppo elevata) e ammontare del debito pubblico. Questi sono vincoli
che riguardano sia la destra che il centrosinistra al governo, ma se continuiamo ad avere ambizione
di cambiamento, dobbiamo trovare le risorse, e non possiamo sfuggire all’esigenza di tagliare
e riqualificare la spesa pubblica. La sfida del federalismo fiscale, al di là delle chiacchiere
e della propaganda è proprio questa. Lo subiamo o lo trasformiamo nella leva per nuovo
patto fiscale e per porre su nuove basi l’unità nazionale? Nella capacità di fare un’agenda diversa,
di dare risposte nette a domande nuove il Pd può rompere la gabbia di risultare la somma di
ex pci-pds-ds ed ex dc-ppi- margherita. Occorre porsi l’obiettivo di un grande partito dei riformisti italiani,
che stia stabilmente attorno al 35-40%, che comprenda le posizioni moderate e quelle più
radicali, che tenga insieme la sinistra, i cattolici democratici, i radicali, la nuova sinistra vendoliana,
gli ecologisti, una parte di quanti gravitano nell’indistinto dell’Italia dei valori. Il cui punto
di unione non può essere la sintesi delle tradizioni del secolo scorso, ma la costruzione
del riformismo europeo del nuovo secolo. Costruire un Pd oltre il Pd è necessario per queste ragioni.
E per altre ragioni più immediate.
La partita del post Berlusconi si è già aperta. Serve un patto con l’Udc e le forze più moderate per
uno sbocco condiviso alla transizione italiana, ma non si può chiedere all’Udc di far parte di
una nuova Unione. E poi serve un Pd che sia competitivo per la leadership di governo, nella
compiuta realizzazione di un bipolarismo maturo europeo, dove le coalizioni sono imperniate
su due grandi forze alternative, come in Germania, Francia, Spagna, Inghilterra.

pubblicato sulla rivista: le nuove ragioni del socialismo”.
14.04.2010