L’analisi di Marco Fortis del milione di posti di lavoro in più oggi in Italia

Dall’aprile 2008 al febbraio 2014 il nostro Paese ha perso durante la doppia recessione provocata dalla crisi finanziaria e dall’austerità 1 milione e 26mila posti di lavoro. Da allora ad oggi questa perdita è stata più che recuperata. Infatti da marzo 2014 a novembre 2017, in poco più di tre anni e mezzo di governo a guida Pd, il numero degli occupati è cresciuto di 1 milione e 29mila unità, oltre il 53% dei quali (pari a 541mila persone) costituito da un maggior numero di occupati dipendenti a tempo indeterminato, grazie alle decontribuzioni e al Jobs Act. Dunque abbiamo oggi più posti di lavoro nel complesso ma anche più dipendenti permanenti, con un rapporto tra dipendenti permanenti (15 milioni) e dipendenti a termine (2,9 milioni) che a novembre 2017 era di 5 a 1. Questo rapporto dimostra che, esaurito l’impulso delle decontribuzioni che avevano enormemente accelerato le assunzioni a tempo indeterminato, e nonostante una crescita recente più forte dei dipendenti a termine rispetto a quelli permanenti, non si sta affatto producendo precariato, come sostengono alcune fake news. Il numero dei dipendenti a termine, infatti, resta globalmente limitato e comunque la sua crescita appare fisiologica in una forte fase di espansione ciclica come quella attuale, considerando anche le esigenze di un mercato del lavoro sempre più trainato dal settore dei servizi, il quale presenta in molti suoi comparti, rispetto ad esempio all’industria, maggiori esigenze di flessibilità.

E’ chiaro che la lunga crisi ha determinato una perdita di posti di lavoro pregiati alle dipendenze (soprattutto nella manifattura ma anche nell’edilizia) nonché un calo di occupati indipendenti. Tutto ciò ha comportato una flessione del monte ore lavorate in linea con la diminuzione del Pil non ancora del tutto recuperata. Ma è altrettanto chiaro che le politiche del lavoro introdotte in questi anni, unitamente alla ripresa del ciclo economico, hanno generato un impressionante reazione in termini di creazione di nuova occupazione. Il tutto, per di più, si è prodotto mentre si verificava per la prima volta nella storia italiana dal secondo Dopoguerra un calo della popolazione in età lavorativa tra i 15 e i 64 anni quantificabile in oltre mezzo milione di persone, sempre tra il marzo 2014 e il novembre 2017.

I dati diffusi dall’Istat segnalano inoltre che durante i governi Renzi e Gentiloni, da marzo 2014 a novembre 2017, si sono registrati miglioramenti sostanziali di tutti gli indicatori del mercato del lavoro. I disoccupati sono diminuiti di 416mila unità rispetto a febbraio 2014. Il tasso di disoccupazione totale è diminuito di 1,9 punti, scendendo all’11%, con un calo della disoccupazione sia maschile sia femminile. Mentre il tasso di disoccupazione giovanile è diminuito significativamente di 10,7 punti, scendendo al 32,7%. Il tasso di occupazione 15-64 anni è salito di 2,9 punti portandosi al 58,4%. E gli inattivi nel frattempo sono calati di ben 944mila unità.

Guardando invece alle evoluzioni più recenti, osserviamo che a novembre 2017 vi è stata una crescita degli occupati di 65mila unità rispetto ad ottobre mentre rispetto a novembre del 2016 vi è stato un aumento su base annua dei posti di lavoro pari a 345mila unità, un calo dei disoccupati di 243mila unità e un calo degli inattivi di 173mila unità. L’Istat, inoltre, ha rilevato che al netto della componente demografica nell’ultimo anno si è verificata una crescita occupazionale del 3,1% tra i 15-34enni, dello 0,4% tra i 35-49enni e del 2,5% tra i 50-64enni.

(Marco Fortis è professore di Economia Industriale e Commercio Estero presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano)