Il viaggio:UNA GIORNATA IN VIA CORELLI Wisam, l’angelo dei clandestini Sono 132 gli stranieri. Si litiga, si prega, si gioca e i trans fanno sfila

 

immagine documentoWISAM viene da Bagdad. Ha 42 anni, un bel sorriso e qualche filo grigio tra i capelli. Passa le giornate al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Corelli, ma non è un clandestino. E’ un mediatore culturale, figura che cerca di rendere meno ostica la vita di chi finisce qui dentro. «Il mio lavoro – spiega è dipingere, fare finestre, costruire ponti». Espressione a colori, per dire “rompere l’isolamento”, l’emarginazione. Ascoltare, insomma, e spiegare come funzionano le cose in un posto che non è un carcere, ma neanche un albergo. Dove si vieni trattenuti contro la propria volontà, però si può tenere il cellulare e chiamare chiunque nel mondo. Senza poter mettere piede sul suolo italiano.
SOGGETTISMARRITI, cui Wisam si accosta anzitutto come uno di loro, per evitare il senso di spaesamento che stordisce chiunque venga deprivato della libertà e infilato in un contesto alieno. Poi spiega loro come contattare un avvocato, o uno psicologo, dove trovare un tappeto per pregare, saponette, dentifricio.dentifricio,lenzuola, cuscini, sigarette, o come cambiare stanza, in caso di litigi e incompatibilità con gli altri. Il viaggio dentro il Cie di Milano, insieme al deputato del Pd Peluffo, comincia nello stesso locale in cui, dalla strada o dal carcere, arrivano per la prima volta i clandestini che non ha dichiarato la propria identità. C’è anche una delegazione di universitaria di sociologi, che sta visitando i Cie italiani. La saletta d’accesso è attigua all’infermeria: lì, il nuovo arrivato riceve dalla Croce Rossa il kit di accoglienza, con quanto serve per la cura della persona e l’igiene. Dopo la doccia, la visita sanitaria verifica la compatibilità con l’ambiente promiscuo. Se il medico dà il benestare, si raccoglie l’anamnesi del paziente e lo si avvia alle cure farmacologiche.

Da quando i Cpt sono diventati Cie, nel 2008, la permanenza massima in attesa dell’identificazione e dell’espulsione è diventata di sei mesi, anche se la media è di due. Questo ha reso sempre più necessario il ruolo dei quattro mediatori culturali, un italiano, un iracheno e un siriano per gli uomini, un’egiziana per le donne.
«Il problema – dice Peluffo alla fine – qui come altrove, è che si scaricano in questi centri tutte le contraddizioni e le difficoltà della normativa. La gestione risulta complicata proprio a causa dell’incongruità della legge. Dietro i problemi c’è la mancanza di accordi bilaterali con i Paesi di origine. E’ utile conoscere in maniera approfondita queste realtà proprio per capire cosa potremmo modificare della legge»

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