Il ricordo del mio amico e mentore Salvatore Guida su Pedagogika.it

Durante la mia adolescenza per me Salvatore Guida è stato soprattutto “il padre di Igor”, un mio coetaneo, a cui spesso guardavo con ammirazione per la sicurezza che ha sempre dimostrato e per la capacità di fare gruppo, di far gravitare intorno a sé ragazze e ragazzi così particolari, anticonformisti, fuori dal coro generale; insomma interessanti.

Salvatore apparteneva al mondo degli adulti a cui, a quell’età, si guarda con un mix di sentimenti: ammirazione, contrapposizione, un sentimento malcelato di incomprensione, di distanza. Lo guardavo con questi occhi, incuriosito dalla sua fisicità, dalla capacità affabulatoria, convinto che avesse sempre qualcosa di interessante da raccontare, un suggerimento su qualcosa di particolare da sperimentare come esperienza di formazione.

Poi ho conosciuto Salvatore sul serio.

A 18 anni sono andato a bussare alla sezione del Partito Comunista Italiano di Rho; mi sono presentato con il furore di chi si sente, a quell’età, di fare le scelte importanti della propria vita, di chi ha rimuginato a lungo alimentato dai libri e dalle discussioni in classe al liceo su cosa accade nel mondo.
Ho bussato spinto dalla voglia di cambiare il mondo, di combattere le ingiustizie e di schierarmi da una parte, da quella che si ritiene l’unica giusta, l’unica possibile.
Mi hanno aperto e sono stato accolto in una comunità straordinaria fatta di donne e uomini di tutte le età, dalle mille professioni, di un’umanità straordinaria. Era ancora il Pci del radicamento territoriale e sociale robusto, con cinque sezioni, sia territoriali che la mitica sezione “interfabbriche”. Un partito che incuteva rispetto e un qualche timore reverenziale, con un gruppo dirigente diffuso fatto di persone di talento, di cultura, di amministratori, di delegati sindacali, di persone semplici che attraverso lo studio personale e la lettura quotidiana dell’Unità avevano un’opinione precisa delle cose che accadevano nel mondo e in italia.
Era un partito nel quale prendere la parola in un’assemblea comportava uno sforzo notevole, ti dovevi preparare minuziosamente l’intervento, ti sentivi addosso gli occhi di tutti, ti sentivi giudicato. Innanzitutto perché le persone ti ascoltavano davvero, perché volevano capire non solo cosa avevi da dire ma anche cosa avevi dentro da dare, come contributo, come passione politica.
Ed era un partito nel quale la lotta politica era una cosa impegnativa, proprio perché ci si prendeva sul serio; anche le opinioni diverse si confrontavano duramente, a volte con asprezza. Quando mi alzavo per intervenire sentivo gli occhi addosso, leggevo in molti sguardi “cosa avrà da dire questo ragazzino, davvero è convinto delle sue idee, è capace di portarle avanti fino in fondo, lo fa per vero senso di appartenenza al partito?”, mi sentivo lusingato da quella attenzione e, a dire il vero, mi tremavano un po’ le gambe. Non ho mai perso quel brivido prima di intervenire, quell’istante in cui ti viene da dire “vabbè intervengo un’altra volta, non ho niente di così importante da dire”

E quando intervenivo cercavo un volto più accondiscendente, uno sguardo complice, accogliente. E trovavo il volto di Salvatore, i suoi occhi piantati nei miei, attento a quello che dicevo, senza lusinghe, senza cenni di assenso col capo ma con una luce di calore, di conforto. Incrociare di tanto in tanto il suo sguardo durante l’intervento mi rassicurava, mi aiutava ad arrivare in fondo senza che si notasse troppo la mia agitazione, senza che il dubbio che ogni tanto mi assaliva su quanto stessi dicendo prevalesse sulla convinzione che mi animava fino ad un attimo prima di intervenire.
E’ nata così la nostra amicizia “politica”, dalla sua curiosità per questo giovane neo iscritto e per la mia ricerca di una figura che mi accompagnasse in quel mondo così nuovo, affascinante e a volte incomprensibile. E’ diventato naturale maturare insieme le scelte politiche fondamentali , come quando crolla il muro di Berlino in quel lontano 1989, e come quando poi sarà annunciata la “Svolta” da parte di Achille Occhetto alla Bolognina, il congresso del Pci nel quale bisogna decidere che strada prendere, se dare vita al Partito Democratico della Sinistra o rimanere un partito comunista.

I miei sentimenti erano contrastanti, pensavo: “sono appena entrato nel Pci, dopo un lungo percorso di riflessione, dopo liti infinite in casa alla vista della mia tessera, e adesso già me lo sciolgono?”, dall’altro però avvertivo che i dubbi che mi assalivano non erano solo dovuti all’agitazione di un pivellino di fronte ad una platea, ma alla sensazione in parte inconscia che in fondo ci fosse una contraddizione irrisolta, qualcosa che aspettava una risposta e una soluzione adeguata ad un mondo in profonda trasformazione.

In quelle settimane cercavo con più insistenza le conversazioni con Salvatore perché i miei dubbi trovavano cittadinanza nei suoi ragionamenti; in un clima in cui tutti avevano opinioni granitiche, sentivo fortissima la necessità di uno spazio dove il mio smarrimento trovasse ascolto e dove le domande che mi assalivano potessero articolarsi in risposte di chiarezza.

Così decidemmo insieme di affrontare quella discussione congressuale sostenendo la mozione Bassolino, una scelta marginale rispetto al dibattito nazionale e destinata ad una posizione di sicura minoranza, ma era la scelta che ci consentiva di dare respiro ai nostri dubbi, ai nostri ragionamenti.
E conducemmo gomito a gomito una battaglia congressuale insieme a pochi altri.

La nostra amicizia aveva fatto un passo in avanti, rafforzata in un cimento comune e nella sensazione – bella! – di sentirsi portatore di un punto di vista del tutto particolare, di doversi confrontare in pochi con le ragioni prevalenti dei molti.
Questa scelta non mi impedisce di diventare, sempre con la complicità di Salvatore e della sua capacita di convincimento, segretario di una delle sezioni del partito di Rho, la mitica Renato Canegrati (intitolata al partigiano ragazzino trucidato dai fascisti nelle vie di Rho), la più piccola, quella senza una sede, che vive del lavoro itinerante di rapporto con gli iscritti e gli abitanti del quartiere dove vivo.

Poi è successo qualcosa che ci ha ulteriormente avvicinato, proprio nel momento in cui mi sono gradualmente e fisicamente allontanato dalla comunità del partito di Rho (diventato nel frattempo Pds) a vent’anni mi chiedono di diventare segretario provinciale della Sinistra giovanile, organizzazione giovanile del Pds, e questo incarico è incompatibile con l’incarico nella sezione.
Convoco il congresso e informo gli iscritti di questa opportunità e che quindi devo lasciare l’incarico di segretario di sezione: apriti cielo, mansueti iscritti da quarant’anni che mi dicono che sono un irresponsabile, che non si lascia così la guida del partito, che si viene meno alla fiducia che mi è stata accordata, che sono un carrierista. Vengo colto di sorpresa: pensavo che fosse accolta bene la novità, che fosse il riconoscimento al lavoro che avevamo fatto assieme, traballo.
E cerco lo sguardo di Salvatore, che interviene.
Inizia riconoscendo il senso di smarrimento degli iscritti, della loro giusta preoccupazione, poi inizia a parlare di cos’è un partito, della sua funzione anche educativa, della formazione della sua classe dirigente e poi dice che l’incarico provinciale è il riconoscimento dei miei meriti e, soprattutto, del lavoro della sezione Canegrati che deve esserne lusingata.
A fine congresso mi prende da parte e mi rimprovera: “ dovevi dircelo prima!” e capisco che c’è rimasto male; me ne dispiaccio anche perché è lui che ancora una volta mi ha tolto dai pasticci.

Negli anni successivi sono stato chiamato a far parte della segreteria nazionale della Sinistra giovanile per poi venirne eletto segretario nazionale; mi trasferisco a Roma per sette anni, tornando a Rho una volta al mese e andando nella sede del partito (nel frattempo diventato Democratici di sinistra) di Rho sempre più di rado.
Sono gli anni in cui i contatti con Salvatore diventano saltuari ma ogni volta che ci rivediamo in sezione è uno tsunami di critiche, di proposte sulla politica nazionale, su quello che sta facendo il partito.
Sono gli anni in cui quando intervengo nelle assemblee di Rho non sono più il ragazzino un po’ spennacchiato ma il dirigente nazionale da cui si pretende chiarezza sulla linea politica e responsabilità sulle scelte compiute; gli interventi di Salvatore diventano ingaggianti, nessuno sconto, alle sue critiche non puoi rispondere chiedendo l’indulgenza dell’amicizia, devi confrontarti con le contraddizioni, argomentare, assumerti direttamente la responsabilità per le scelte che stai contribuendo a compiere.
Non puoi essere reticente, non puoi essere approssimativo: capisci che, giustamente, la platea più esigente è proprio questa, composta dalle persone che ti hanno visto e conosciuto dall’inizio, che ti hanno visto crescere, che riconoscono in una certa gestualità i sintomi del nervosismo, in una certa inflessione della voce un moto altrimenti impercettibile di insicurezza.
A questa platea non puoi mentire, a Salvatore non può bastare una spiegazione superficiale.
Quando pensavo di essermi assestato nel mio percorso di formazione politica capisco che quel processo è solo all’inizio, che ci si deve sempre mettere alla prova, scavando dentro se stessi alla ricerca delle motivazioni più profonde. Non ci si può nascondere dietro a motivazioni di comodo.

Ti accorgi che stai facendo un altro passo avanti di crescita, e ancora un volta Salvatore è lì sorridente, che a fine dell’assemblea ti da una pacca sulla spalla, come a dire che te la sei cavata anche questa volta e che adesso è il momento di andare tutti quanti insieme a bere qualcosa.

Poi all’inizio degli anni 2000 torno a Rho in pianta stabile, torno a vivere nella casa di famiglia e a fare l’amministratore con un rapporto con il partito locale che torna ad essere quotidiano; anche gli incontri con Salvatore tornano più assidui, con quella facilità per la quale non ti sembra di esserti visto assai di rado per diversi anni.

Nel 2008 vengo eletto parlamentare del Partito Democratico (rieletto nel 2013) e torno a fare il pendolare con Roma, ma non è più un trasferimento, non è più un allontanarsi dalla propria comunità, è svolgere il proprio ruolo istituzionale rappresentando il proprio territorio.

E arriva una bella giornata di primavera, durante la quale hai trovato il tempo per dedicare una mattina alla famiglia e stai pedalando veloce con tua moglie e le bimbe nei seggiolini; c’è una persona ai tavolini del bar di via Molino Prepositurale, mi chiama e urla “bravo, goditi le tue figlie, finalmente l’hai capita”.
Ti allarghi in un sorriso, rallenti la pedalata, fai per fermarti ma tua figlia ti dice: “più veloce papà” e tua moglie è davanti che continua a pedalare.
Allora non ti fermi, ricambi il saluto e continui a pedalare, ma l’abbraccio è come se ci sia stato, già solo nel primo incrocio di sguardi.
A volte mi torna in mente quell’ultima volta in cui ho visto Salvatore, e vorrei essermi fermato semplicemente per salutarlo meglio, o per dirgli che alla fine anch’io ho capito che la passione politica e l’impegno politico non possono essere totalizzanti, schiacciando lo spazio per gli affetti. O per dirgli che ho imparato ad assaporare ogni momento fino in fondo, perché la stessa azione politica dovrebbe sempre muovere i propri passi dalla ricerca di articolazione e armonia con se stessi e con gli altri.

Forse volevo dirgli tante altre cose ma probabilmente Salvatore queste cose le sapeva già, perché mi ha conosciuto lungo un arco di tempo pari a metà della mia vita, perché molte cose me le ha insegnate lui e, più semplicemente, perché mi voleva bene.

Ho la fortuna di poter coltivare il ricordo di Salvatore molto spesso.
Tutte le volte che accompagno la mia figlia più piccola alla scuola materna, tutte le volto che la affido alle educatrici formate nella bellissima esperienza della Cooperativa Stripes, lo rivivo nella tranquillità di mia figlia (così come è stato qualche anno prima anche per la mia figlia più grande) che entra da sola nella classe dell’asilo, nella serenità con la quale la trovo quando vado a prenderla a fine giornata.
Trovo in questi piccoli gesti, così grandi e importanti, il frutto del lavoro di tanti anni di Salvatore, portato avanti oggi da Dafne e Igor.

Grazie Salvatore.